Gestione Affitti

La Consulta salva i micro-affitti per il periodo 2011-2015

di Saverio Fossati

La Corte costituzionale “salva” l’ultimo capitolo normativo della telenovela dei microcanoni d’affitto. Con la sentenza 87/2017, depositata ieri, la Consulta ha dichiarato inammissibile la richiesta d’incostituzionalità, presentata dal Tribunale di Roma, dell’articolo 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. La norma, di fatto, riscrivendo l’articolo 13, comma 5 della legge 431/98, aveva stabilito una serie di regole per contrastare le pattuizioni che prevedessero il pagamento di una parte del canone “fuori contratto” (cioè in nero). Ma prevedeva che il micro canone (chiamato ora “indennità di occupazione” restasse valido per il periodo 2011-2015.
In particolare, infatti, il Tribunale di Roma chiedeva di dichiarare l’llegittimità della norma che recita: «5. Per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato articolo 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennita' di occupazione maturata, su base annua, e' pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato».
Le argomentazioni sollevate dal Tribunale si rifacevano a quelle che avevano portato all’incostituzionalità dell’articolo 3, comma 8, lettera c) del Dlgs 23/2011 (la norma che prevedeva un premio, sotto forma di un canone ridotto al triplo della rendita catastale, per gli inquilini che avessero “denunciato” la mancata registrazione del contratto di locazione) e dell’articolo 5, comma 1-ter, del Dl 47/2014 che ne faceva salvi gli effetti sino al 16 luglio 2015.
La Consulta ha però bocciato al richieste di incostituzionalità, perché i commi 8 e 9 dell'art. 3 del Dlgs 23/2011 avevano previsto – in caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, nonché in caso di registrazione di un contratto di comodato fittizio – una rideterminazione legale della durata del rapporto in quattro anni rinnovabili, decorrenti dal momento della registrazione tardiva, e una predeterminazione del canone annuale nella misura del triplo della rendita catastale dell'immobile, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75% dell'aumento in base agli indici ISTAT, ove inferiore a quello pattuito. «Diversamente -spiega la Consulta -, il novellato comma 5 dell'art. 13 della legge n. 431 del 1998, ora in esame, non ripristina (né ridefinisce il contenuto relativo a durata e corrispettivo) dei pregressi contratti non registrati, la cui convalida, per effetto delle richiamate disposizioni del 2011 e del 2014, è venuta meno, ex tunc, in conseguenza delle correlative declaratorie di illegittimità costituzionale. E, pertanto, non replica alcuna forma di sanatoria ex lege di detti contratti affetti da nullità: nullità che lo stesso art. 1, comma 59, della legge n. 208 del 2015 – nella parte in cui sostituisce il comma 1 dell'art. 13 della legge n. 431 del 1998 – ribadisce derivare dalla omessa registrazione del contratto entro il prescritto «termine perentorio di trenta giorni».
L'odierna disposizione prevede, piuttosto, spiega la Consulta, una predeterminazione forfettaria del danno patito dal locatore e/o della misura dell'indennizzo dovuto dal conduttore (Corte di cassazione, sezione terza, sentenza 13 dicembre 2016, n. 25503), in ragione della occupazione illegittima del bene locato, stante la nullità del contratto e, dunque, l'assenza di suoi effetti ab origine.
Infine, precisa la Corte costituzionale, la (pur solo) parziale coincidenza dell'importo del parametro indennitario, previsto dalla disposizione censurata, con quello del canone legale, individuato dalle pregresse norme dichiarate costituzionalmente illegittime, non è dunque sufficiente a determinare la violazione del giudicato costituzionale, concreta nell'“accertamento dell'esistenza” del contratto non registrato, quale operazione consentanea a rendere valido ed efficace un contratto nullo.

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