Gestione Affitti

Servono aliquote ferme (e regole certe) oltre il 2017

di Cristiano Dell’Oste e Raffaele Lungarella

Ben venga il chiarimento delle Entrate, secondo cui possono avere la cedolare al 10% anche i contratti d’affitto transitori stipulati nei Comuni ad alta tensione abitativa. In fondo, risponde a un principio di logica ed equità: quello in base al quale lo Stato incentiva il proprietario a fare uno sconto sul canone all’inquilino, alleggerendo la pressione fiscale. Se mai, colpisce il fatto che la presa di posizione sia arrivata a Telefisco 2017, risolvendo una questione che divideva gli addetti ai lavori fin dall’introduzione della “tassa piatta” (aprile 2011).

In Italia ci sono 2,8 milioni di case locate possedute da circa 2 milioni di persone fisiche. In un contesto in cui molti gestiscono i contratti con il fai-da-te, è evidente che i costi impliciti connessi a qualsiasi incertezza risultano moltiplicati.
E questo sia per le incognite legate alla normativa, sia per quelle legate agli aspetti puramente economici.

Vediamo qualche esempio. Le Entrate fin dal 2011 hanno escluso la cedolare quando l’inquilino è una società, ma diversi giudici di merito hanno cassato la linea del fisco. Parliamo di una nicchia di mercato, ma intanto, chi ha la chance di affittare un appartamento a uso foresteria, paga l’Irpef o la cedolare?

Su un altro fronte, solo con la conversione del decreto fiscale (3 dicembre 2016) è stato chiarito che chi dimentica di confermare l’opzione al momento della proroga non decade dalla tassa piatta. Ma aveva senso dire che l’opzione ricalca la durata contrattuale, fino a revoca, e poi punire con la decadenza chi incappava
in una svista?

E ancora. Dal 2014 si può applicare la cedolare nei Comuni colpiti da calamità nei cinque anni precedenti. La norma, però, esclude le zone colpite dal terremoto dell’Aquila e, naturalmente, dai più recenti terremoti dell’Italia centrale. Ha senso che il Parlamento introduca un’agevolazione e poi si dimentichi di aggiornarla e monitorarne l’applicazione?

Le variabili economiche sono ancora più rilevanti, se possibile. E anche su questo versante le certezze sono fondamentali. Dal 2014 l’aliquota sulle locazioni a canone concordato è del 10% e lo sarà fino alla fine di quest’anno. La forbice con l’aliquota della flat tax sui canoni di mercato è, da allora, di 11 punti percentuali. Ma dal prossimo anno fiscale la tassazione sui canoni concordati rischia di tornare al 15%, a meno di una proroga. È probabile che molti proprietari, che hanno affittato a canone concordato l’anno scorso e quest’anno, abbiano fatto i loro conti convinti che l’aliquota sarebbe rimasta al 10% per tutta la durata contrattuale, che può ben superare i tre anni.

Se il prelievo del 10% non verrà confermato, il rischio è di tirare il freno alla crescita del mercato del canone concordato. Non bisogna dimenticarsi che, secondo le statistiche ricavate dalle dichiarazioni Irpef, il numero di contratti a canone concordato ha fatto un grande balzo in avanti proprio nel 2014 (ultimo anno di disponibilità dei dati), con la riduzione dell’aliquota della tassa piatta al 10 per cento. Ne furono censiti oltre 310mila, quasi il doppio dell’anno precedente e circa cinque volte di più del 2011. Per quanto la cedolare possa avere fatto emergere gli affitti in nero, è probabile che il balzo sia dovuto all’accresciuto ricorso ai contratti del canale agevolato, favorito dalla
bassa tassazione.

Anche per questo, sarebbe importante garantire la prosecuzione di una minore tassazione su questi canoni, per mantenerne l’attrattività, per i proprietari delle abitazioni, rispetto a quelli a canone libero, tassati con la cedolare secca del 21 per cento. Su questo sarebbe bene dare certezze subito, senza aspettare un emendamento in zona cesarini alla prossima legge di Bilancio.

Sulla convenienza fiscale di questi contratti influisce anche lo sconto del 25% su Imu e Tasi, introdotto a partire dall’anno scorso, che può valere da una a fino a 4-5 mensilità di canone, nel caso degli immobili di provincia più penalizzati. Si potrebbe anche aumentare la percentuale o introdurre un’aliquota fissa nazionale, prevedendo però – contestualmente – una compensazione finanziaria a favore dei bilanci comunali. Ma se, in tempi di magra per le casse pubbliche, si dovesse scegliere tra confermare la cedolare leggera o aumentare gli sconti Imu-Tasi, tanto varrebbe, con ogni probabilità, mantenere la cedolare al
10 per cento.

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