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Come finanziare la riqualificazione «profonda» degli edifici

di Virginio Trivella (Coordinatore del Comitato Scientifico Rete Irene)

I nuovi incentivi fiscali a favore degli interventi di riqualificazione dei condomini figurano tra le “Misure per la crescita” indicate nella legge di Bilancio per il 2017 e testimoniano la volontà di promuovere la diffusione di queste attività, ritenute prioritarie. Resta però ancora irrisolto il nodo del coinvolgimento della finanza privata a sostegno dell'incentivazione decennale. A parere dei soggetti che quotidianamente operano a stretto contatto con questo segmento del mercato, una organica connessione tra il meccanismo di incentivazione e gli strumenti di finanziamento è l'elemento che manca per trasformare una domanda ancora largamente potenziale in azioni concrete a favore dello sviluppo economico e della protezione dell'ambiente.
Con la presente analisi intendiamo offrire alcuni argomenti per una riflessione sul ruolo che può essere affidato agli operatori finanziari istituzionali e sulle conseguenze per il controllo della spesa pubblica. Si discute inoltre dell'opportunità di un forte coinvolgimento delle utilities nella promozione degli interventi di riqualificazione energetica degli edifici e dei rischi connessi, in assenza di alcuni aggiustamenti, per l'ambizione tecnica degli interventi promossi per questa via.
Decarbonizzare lo stock immobiliare
La roadmap di decarbonizzazione europea ha l'obiettivo di ridurre entro il 2050 i consumi di energia dell'80-95% rispetto al 1990. Questo obiettivo, compatibile con una nozione condivisa di sostenibilità ambientale, se riferito al comparto immobiliare implica la riqualificazione annua del 3% degli edifici. Un tasso analogo è indicato nel Piano d'Azione per l'Efficienza Energetica e corrisponde a un ammontare di investimenti dell'ordine di qualche decina di miliardi di euro per anno.
Si tratta di un'entità imponente ma, va sottolineato, dello stesso ordine di grandezza degli interventi di ristrutturazione edilizia che ogni anno sono incentivati con risorse pubbliche.
Le politiche di incentivazione in atto nell'ultimo decennio hanno evidenziato l'incapacità di stimolare la riqualificazione profonda degli edifici, cioè le attività necessarie al perseguimento dell'obiettivo di decarbonizzazione. Tali attività non possono prescindere da una cospicua riduzione del fabbisogno di energia degli edifici tramite l'isolamento degli involucri che, in massima parte, sono di qualità molto scadente. Le detrazioni fiscali per le riqualificazioni energetiche hanno indotto attività di questo tipo sul patrimonio privato per un volume insufficiente, dell'ordine delle centinaia di milioni di euro l'anno. Il Conto Termico nei primi anni di vita non ha conseguito risultati rilevanti nell'incentivazione del patrimonio pubblico; in seguito al suo aggiornamento ha mostrato un incremento della propria efficacia, ma l'impegno di spesa massimo resta limitato a 200 milioni di euro l'anno.
La differenza di due ordini di grandezza tra obiettivo e risultati conseguiti è stata avvertita dal decisore politico che negli ultimi mesi ha avviato la revisione degli strumenti di stimolo, con l'aggiornamento del Conto Termico e, soprattutto, con l'introduzione dei nuovi incentivi per la riqualificazione energetica degli edifici condominiali. Si tratta di un'iniziativa ambiziosa che ha introdotto alcune innovazioni di grande interesse e notevole potenzialità.
Risorse finanziarie private da mobilitare
Il nodo non ancora risolto riguarda il tema della mobilitazione delle risorse finanziarie private a sostegno dell'incentivazione decennale. La capacità di agevolare il ricorso alla finanza privata è un requisito fondamentale per l'efficacia del provvedimento, soprattutto in ambito condominiale. La fiducia reciproca tra condòmini è una precondizione degli investimenti collettivi, a causa del regime di solidarietà cui soggiacciono i relativi debiti. È quindi indispensabile favorire condizioni di accesso al credito semplici ed economiche per consentire a tutti di disporre delle risorse necessarie, in attesa della fruizione degli incentivi decennali e della concretizzazione del risparmio energetico generato dagli interventi di riqualificazione.
L'esclusione degli istituti di credito e degli intermediari finanziari dal meccanismo degli incentivi, sancito dal divieto di cessione delle detrazioni a tali soggetti, comporta una serie di conseguenze negative che rischiano di pregiudicare la potenzialità dello strumento di stimolo.
È pur vero che oggi è possibile ricorrere alla cessione delle detrazioni a soggetti “privati”, ma l'esclusione dei soggetti finanziari comporta l'allungamento della filiera cedente-cessionario, determinata dall'esigenza di individuare, probabilmente attraverso un'attività di intermediazione di soggetti più o meno specializzati, soggetti cessionari capienti e interessati ad acquisire una moltitudine di detrazioni di piccolo taglio. La maggiore complessità dell'attività di cessione comporta un sensibile incremento dei costi del trasferimento delle detrazioni che si riverberano sul costo degli interventi e, a ben vedere, anche sull'impegno dello Stato che li incentiva.
Inoltre la cessione a soggetti “privati” implica la necessità di ricorrere a finanziamenti procurati da cessionari che non appartengono alla categoria dei soggetti finanziari istituzionali e specializzati, il che comporta un probabile incremento dei costi anche dell'anticipazione finanziaria. Non va trascurato che la delega dell'attività finanziaria a soggetti non appartenenti al settore regolamentato dell'intermediazione creditizia implica rischi di scarsa trasparenza e di infiltrazione di attività illegali.
La conseguenza è che, per questa via, oltre ai gravi rischi accennati, i nuovi incentivi mostrano una probabilità di successo limitata.
Al contrario, un organico coinvolgimento dei soggetti finanziari nel meccanismo delle detrazioni consentirebbe di ottimizzare le procedure, minimizzare i costi e rendere davvero efficiente il sistema. E tutto ciò in un momento in cui primari soggetti creditizi mostrano un convinto interesse a finanziare l'efficienza energetica.
Analoghe considerazioni sono valide in relazione all'incentivazione della riqualificazione sismica degli edifici.
Coinvolgere le banche incrementa il debito pubblico?
A fronte degli evidenti vantaggi sociali, economici, ambientali dell'attivazione di un vasto piano di trasformazione energetica e sismica dello stock immobiliare indotto da una politica efficace di incentivazione, davvero non si comprende il permanere della ritrosia a coinvolgere sistematicamente nel meccanismo incentivante la finanza istituzionale che, a detta di tutti (anche degli stessi rappresentanti governativi) è la chiave dello sviluppo.
La motivazione sovente addotta, che la cessione delle detrazioni a soggetti finanziari - che poi utilizzerebbero i corrispondenti crediti per alimentare strumenti di cartolarizzazione - determinerebbe un incremento della spesa pubblica, a noi pare più dogmatica che dotata di fondamento concreto. Assunto che (ai sensi dell'ultima legge di bilancio) la facoltà di cessione delle detrazioni a soggetti terzi capienti è ora concessa a tutti i contribuenti, la realizzazione di attività incentivabili in un dato anno fiscale corrisponde di per sé a un impegno certo per il bilancio pubblico per i successivi dieci anni, a prescindere dalla natura (finanziaria o “privata”) degli eventuali soggetti cessionari e dagli strumenti adottati per la canalizzazione dei flussi finanziari.
A parità di volume dell'attività indotta dall'incentivo, qualunque vicenda legata alla circolazione delle detrazioni non può mutare gli effetti economici (in relazione all'entità) o finanziari (in relazione al momento in cui essi si manifestano) sul saldo del bilancio pubblico. Ciò che può mutare è la natura dell'incentivo che, in funzione della sua declinazione, può configurarsi come una minore entrata (nel caso delle detrazioni fiscali o contributive operate da qualunque soggetto, compresi quelli finanziari) o una maggiore uscita (nel caso dei titoli di credito negoziabili generati con la cartolarizzazione delle detrazioni cedute che, giunti a scadenza, sarebbero rimborsati dall'erario). Si tratta quindi di una questione che non sembra aver a che fare con l'entità del deficit pubblico, che è definita dai provvedimenti di programmazione economica e finanziaria, ma con le regole di formazione del bilancio pubblico che, stante l'importanza e la natura espansiva del provvedimento, potrebbero essere oggetto di negoziazione comunitaria.
Un nuovo approccio alla valutazione delle incentivazioni ambientalmente favorevoli
Potrebbe sembrare che la questione vera sia connessa al timore che il controllo della spesa pubblica – che naturalmente è da preservare – sia compromesso in presenza di uno strumento di incentivazione “troppo efficiente”. Sarebbe curioso se la prudenza fosse riferita alla capacità di stimolo di incentivi dedicati ad attività che oggi stentano a diffondersi (la riqualificazione profonda degli edifici condominiali), quando sembra del tutto trascurata in altri ambiti (le ristrutturazioni edilizie e, nell'ambito delle riqualificazioni energetiche, la sostituzione degli infissi) che mostrano un utilizzo di risorse di uno o due ordini di grandezza superiore e che, obiettivamente, implicano vantaggi inferiori per la collettività. In ogni caso a nostro parere il timore sarebbe mal posto, per vari motivi.
In primo luogo, l'utilizzo dell'incentivo può essere governato nella sua entità complessiva, in misura compatibile con la pianificazione della spesa pubblica, grazie alla fissazione di contingenti annui.
In secondo luogo, è necessaria una profonda riflessione sull'opportunità di modificare i criteri di valutazione degli effetti sul bilancio pubblico delle politiche incentivanti di carattere ambientale. Come è condiviso anche da autorevoli ambienti accademici, oggi queste valutazioni scontano le conseguenze sminuenti dell'adozione di parametri irragionevolmente prudenziali e dell'omissione dal computo delle cospicue esternalità generate dalle attività indotte dall'incentivazione.
In terzo luogo, è possibile ricorrere a una migliore allocazione delle risorse pubbliche oggi destinate ad alimentare i sussidi ambientalmente dannosi. La recente pubblicazione del primo Catalogo nazionale dei sussidi ambientali fornisce ampia materia di riflessione e fornisce una quantificazione delle risorse disponibili per un piano di progressiva riallocazione.
Si tratta dunque di scegliere tra uno strumento di incentivazione molto efficace, in grado di assolvere rapidamente alla sua funzione e di esplicarsi nella sua potenzialità espansiva, e uno strumento poco efficace e per di più suscettibile di generare maggiori costi di sistema.
Una scelta di natura non solo tecnica ma soprattutto politica, riferibile al più ampio piano della strategia energetica e climatica di cui il Paese deve comunque e senza indugio dotarsi, e che ha relazioni profonde con molti altri ambiti economici e sociali.
Un “mercato parallelo” per le detrazioni fiscali
La soluzione che si sta delineando, accennata da rappresentanti degli organi governativi, è la creazione di un mercato “parallelo” a quello finanziario ufficiale per la circolazione delle detrazioni fiscali cedute, da cui i soggetti finanziari istituzionali rischiano di rimanere esclusi. Se ciò dovesse essere confermato, resterebbero fondate le nostre preoccupazioni legate all'alimentazione di un'attività finanziaria concorrente a quella ufficiale e regolamentata, con i rischi di opacità e di accrescimento dei costi di sistema di cui si è detto.
La nostra proposta è di rimuovere l'esclusione, con la finalità di accorciare la filiera del finanziamento, coinvolgendo in tal modo i soggetti finanziari istituzionali nelle operazioni di finanziamento diretto degli interventi di riqualificazione dai quali altrimenti sarebbero estromessi, riducendo con ciò i costi e migliorando la trasparenza del sistema.
Per evitare la resistenza della Ragioneria Generale dello Stato, e per favorire una rapida attuazione della proposta, potrebbe essere esplicitamente esclusa la possibilità di effettuare operazioni di cartolarizzazione delle detrazioni acquisite, conformando l'attività delle banche a quella degli altri soggetti “privati” oggi ammessi. In termini pratici, i soggetti finanziari, al pari degli altri soggetti cessionari, potrebbero utilizzare le detrazioni cedute esclusivamente in compensazione di propri debiti fiscali o contributivi o, in alternativa, cederle ad altri soggetti.
Poste queste condizioni, non si vede alcun motivo pratico, economico o regolamentare che giustifichi una norma che impedisce alle banche di svolgere il proprio ruolo di finanziatore e, nel contempo e se necessario, di intermediario e facilitatore tra cedenti e cessionari. Gli istituti di credito e le società a essi collegate sono spesso soggetti al pagamento di ingenti volumi di contributi previdenziali da lavoro dipendente e possono dunque disporre di una cospicua capacità di compensazione. Naturalmente andrebbe rimosso, limitatamente ai soggetti finanziari che acquisiscono le detrazioni, il limite di 700 mila euro annui fissato per le compensazioni fiscali.
Il costo delle anticipazioni finanziarie sarebbe minimizzato e anche quello dell'intermediazione delle detrazioni sarebbe ottimizzato, sia in relazione alla quota utilizzata “in proprio” che a quella ri-ceduta ad altri soggetti. Considerata la pervasività degli istituti finanziari in tutti i settori dell'economia, la loro capacità di individuare altri soggetti cessionari verso cui canalizzare “pacchetti” di detrazioni raccolte non dovrebbe essere problematica. Potrebbe essere stimolato lo sviluppo, all'interno degli istituti, di attività specializzate nella gestione integrata del finanziamento ai condomini e nella gestione delle detrazioni.
Questa soluzione non avrebbe alcuna possibilità di tramutare le minori entrate del bilancio pubblico in maggiori uscite e non determinerebbe alcun incremento di deficit. Contribuirebbe a semplificare i processi di finanziamento degli interventi condominiali, minimizzerebbe i costi di transazione e renderebbe meno ardua la formazione del consenso nelle assemblee condominiali, con grande beneficio per la diffusione delle riqualificazioni profonde.
Il ruolo delle utilities
È noto il favore, manifestato frequentemente in ambiti governativi e amministrativi, per il coinvolgimento delle utilities energetiche al fine di affidare loro la promozione degli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. Siamo consapevoli dell'inevitabilità del coinvolgimento di tali soggetti (peraltro auspicato anche dall'Energy Union Package del 2015) e dell'esistenza di esperienze internazionali incoraggianti, ma è necessario sottolineare che, se non accuratamente governato, esso può generare una serie rilevante di rischi, potenzialmente molto gravi in relazione al conseguimento degli obiettivi.
Un'analisi superficiale può far ipotizzare che il ricorso all'azione dei venditori di commodities elimini il problema dell'allungamento della filiera: essi potrebbero occuparsi della progettazione e della realizzazione degli interventi, del loro finanziamento e della raccolta e fruizione delle detrazioni fiscali dei loro clienti. Il loro interesse a dedicare la propria capacità finanziaria allo sviluppo di queste attività sarebbe giustificato dalla prospettiva di fidelizzare la clientela mediante contratti di fornitura di energia di lunga durata.
Le conseguenze dell'attribuzione a questa categoria di soggetti di un ruolo centrale nella promozione dell'efficienza degli edifici dovrebbero tuttavia essere valutate tenendo in considerazione una serie di aspetti che oggi caratterizzano il mercato:
•gli interventi di riqualificazione profonda degli edifici compatibili con gli obiettivi della roadmap europea di decarbonizzazione sono caratterizzati da drastiche riduzioni dei fabbisogni di energia, investimenti cospicui e lunghi tempi di ritorno;
•il mercato nazionale della deep renovation è immaturo sia per penetrazione, sia per qualità della domanda; in questa condizione, la domanda rischia di essere orientata verso target di efficienza insufficienti e di gran lunga inferiori a quelli tecnicamente possibili;
•le utilities sono totalmente estranee a questo mercato; gli interventi di riqualificazione degli involucri non appartengono alle loro prassi e cultura aziendale;
•le utilities devono gestire un evidente conflitto d'interesse tra la riduzione dei fabbisogni di energia degli immobili e la vendita di energia;
•le utilities sono interessate a frazionare le proprie risorse finanziarie nel più vasto numero di interventi, al fine di ampliare il novero dei clienti fidelizzati, e a minimizzare il tempo di ritorno degli investimenti;
•le utilities occupano una posizione dominante e di notevole vantaggio rispetto agli altri operatori (accesso ai clienti e ai loro dati di consumo) e sono in grado di influenzare agevolmente le scelte dei consumatori.
La combinazione di questi aspetti lascia prefigurare con certezza che, in assenza di meccanismi cogenti (di cui però oggi non si parla affatto), prevarranno gli interessi antagonisti a quelli della committenza. Gli interventi che saranno promossi saranno quelli maggiormente convenienti per le utilities ovvero, probabilmente, quelli meno impegnativi in termini finanziari, appena sufficienti per accedere alle detrazioni fiscali e minimamente ambiziosi in termini di riduzione dei consumi. In assenza di una cultura diffusa della riqualificazione profonda, la domanda difficilmente sarà in grado di valutare il proprio interesse e di promuovere itinerari di efficientamento più ambiziosi.
Il rischio, per il sistema-Paese, è di accomodarsi su uno standard di riqualificazione lontano da quello della deep renovation, perdendo sistematicamente le occasioni di trasformazione energetica profonda e bloccando l'efficienza degli edifici gestiti dalle utilities a un livello mediocre per molti altri decenni.
La nostra proposta è che i venditori di commodities, in funzione della loro posizione dominante e in grado di condizionare facilmente le scelte dei consumatori, per poter accedere alle detrazioni fiscali debbano assicurare tassi di riduzione dei fabbisogni di energia rigorosi, compatibili con lo standard NZEB, ponendosi in concorrenza con le migliori offerte tecniche di riqualificazione profonda proposte dal mercato. Solo a queste condizioni, il loro ruolo di promozione dell'efficienza potrebbe volgersi a vantaggio per il Paese e si configurerebbe come un utile complemento di altri modelli di finanziamento diretto degli utenti.
Resta il fatto che, a parità di prestazioni, il ruolo di intermediazione delle utilities energetiche tra gli utenti finali e i realizzatori degli interventi non può che determinare un incremento dei costi, anche per il bilancio pubblico che incentiva gli interventi. Posto a confronto, il modello alternativo del finanziamento diretto dei condomìni da parte di soggetti finanziari (autorizzati a gestire le detrazioni) sembra più efficiente.
È utile precisare inoltre che il coinvolgimento delle utilities ben difficilmente risponderebbe all'esigenza di finanziare, tramite la cessione delle detrazioni, gli interventi stimolati dal sismabonus. Il diretto coinvolgimento delle banche, reso possibile con la prima proposta, rispenderebbe meglio alle necessità del miglioramento sismico.
In conclusione
Il perseguimento dell'obiettivo della trasformazione energetica dello stock immobiliare nazionale necessita di un forte impulso, per stimolare una domanda oggi largamente inconsapevole e ben lontana dalla maturità. Lo strumento dell'incentivazione appare fondamentale, ma deve essere ancora ottimizzato per consentire un efficace coinvolgimento della finanza istituzionale.
Il coinvolgimento sistematico dei soggetti finanziari nel meccanismo degli incentivi fiscali e l'implementazione di modelli di gestione integrata dei finanziamenti e del trasferimento delle detrazioni si mostra in grado di facilitare l'incontro tra domanda e offerta di risorse, a un livello di efficienza economica superiore rispetto all'ipotesi del coinvolgimento delle utilities, e di favorire la realizzazione di attività di livello più ambizioso e coerente con lo standard NZEB.
È quindi raccomandabile che sia rimosso il divieto di cessione delle detrazioni agli istituti di credito e agli intermediari finanziari e il limite annuo delle compensazioni fiscali, consentendo a tali soggetti di operare con le stesse modalità concesse agli altri soggetti “privati”.
Il coinvolgimento delle utilities nel ruolo di promozione e finanziamento delle attività di riqualificazione energetica può rivelarsi una modalità complementare utile, ma necessita di essere guidato verso obiettivi di efficientamento ambiziosi per evitare che tali obiettivi, lasciati all'iniziativa degli operatori, restino irrealizzati in quanto incompatibili con la massimizzazione dei loro interessi.
Occorre evitare assolutamente che nella competizione tra i modelli di finanziamento prevalga una modalità in contrasto con gli obiettivi generali e con gli interessi dei cittadini.
È auspicabile l'adozione di un modello aggiornato per la valutazione delle incentivazioni ambientalmente favorevoli in grado di computare non solo gli effetti diretti delle attività indotte, ma anche quelli indiretti che si manifestano nei diversi ambiti economici, sociali e ambientali. In questo modo la spesa per incentivazione potrebbe essere posta in uno scenario diverso, e trasferita dall'ambito della spesa assistenziale a quello degli investimenti produttivi. In un tale contesto la trasformazione delle detrazioni fiscali in strumenti finanziari non speculativi, caratterizzati da tassi di interesse molto bassi, risulterebbe meno problematica.
L'ottimizzazione dei costi che ne deriverebbe consentirebbe di accelerarne la diffusione delle riqualificazioni profonde collocandole tra le prassi consolidate, e lascerebbe prefigurare anche una progressiva riduzione dell'intensità degli incentivi necessari.